Nel bosco la libertà

Cari Pezzi da Otto, le vacanze ci portano tempo di lettura e riflessione.
Riprendiamo a scrivere nel nostro blog di gruppo? Mi manca persino il pungiglione di Lucignolo.

Cosa raccontereste della vostra vita se vi fosse chiesto in un piccolo gruppo di fare un esempio di libertà?

Una passerella di moda dove le ragazze sfilano nude con i seni coperti da foglie oppure l’immersione nello spazio aperto e la natura, la libertà da cappucci e cappelli che vi hanno costretto da piccoli, lo svincolarsi dalla necessità di dare giustificazioni o di corrispondere le aspettative del ruolo di responsabilità di madre. O ancora il biglietto di un viaggio di sola andata, abbandonando la città natale con la consapevolezza di poter scegliere di non tornare più. Chiudervi la porta dietro le spalle, chiudere la portiera della macchina e andare, in totale autonomia. C’è poi un foglio bianco all’esame di riparazione di disegno, nessuno che possa suggerire e il disegno che prende forma in modo inspiegabile dalla decisione di tirare fuori le proprie forze, c’è la bambina che non acconsente a vestire di rosa né mettersi la gonna o farsi fare le trecce “da femmina” come vorrebbe la mamma e c’è la donna che si lascia imbiancare i capelli e se li taglia cortissimi conquistando la franchigia dal dover combattere contro il tempo e per un’immagine che è voluta da altri ma non amata da lei. L’esempio della libertà educativa in un tipo di scuola diversa da tanti modelli che abbiamo in mente non può mancare.

Di cosa stiamo parlando? Ancora un poco e sarà svelato. Ma torniamo alle storie, perché il nostro è il tempo dello story telling, un modo provinciale per dire ciò che gli antichi sapevano dire benissimo raccontandosi miti e fiabei). Queste sono alcune storie per raccontare la libertà. Non so se anche voi avreste scelto l’episodio di una giovane che sta facendo un’escursione nel bosco con un gruppo. Improvvisamente un brutto temporale si profila all’orizzonte. Tutti tranne lei decidono di fermarsi e di tornare indietro. Tranne lei e un uomo più anziano. Non è il suo fidanzato, che anzi resta stupito della decisione di lei di staccarsi dal gruppo, non meno di lei del fatto di non essere con lui a condividere l’esperienza di una piccola sfida, ma è un altro compagno di via, un uomo don cui ha meno confidenza e che le diventerà amico dopo la comune esperienza di questa piccola sfida delle convenzioni e dei rischi del brutto tempo nel bosco. Si separano dal gruppo e dal fidanzato, accettando le reciproche scelte diverse. Non pensa più a cosa c’è dietro le spalle e cammina. Lui davanti seguito da lei, ritmo e silenzio, passo dopo passo, finché la pioggia si scatena e bagna i due che infine arrivano al termine del percorso e tornano a ricongiungersi al gruppo dopo aver finito l’escursione.
Questo episodio, approfondito con domande, è quello scelto dal gruppo di cui sto per parlare. Un focus group (come sopra) sul tema della libertà.

Di che si tratta? Incontri organizzati dalla Biblioteca Villa Urbani, Perugia e condotti dalla docente Chiara Chiapperini.
Dialogo Socratico metodo olandese Nelson.
Non vi fate impressionare dal titolo. Un cerchio di sedie informale e di memoria cara a tutti i presenti in verità (la dinamica del cerchio è fondamentale, spazio per tutti, condivisione, negoziazione nel dialogo, una caratteristica particolare, quella della piccola comunità a tema, che si è formata e che si scioglierà a breve). Una docente di filosofia molto disponibile e sorridente, spiega a tutti che non farà lezione di filosofia, come molti dei presenti si erano invece prefigurati male interpretando la mail della biblioteca. Parlare a turno, ascoltare gli altri, ciò che abbiamo fatto è semplice, coinvolgente. Nessuno è deluso dalle premesse. Il gruppo prende il via e si crea un bell’affiatamento durato un mese. L’immediata considerazione è che c’è desiderio e fame di alimentare il pensiero. Ben vengano iniziative come questa.

Dei tanti che si potevano raccontare, certo, mancano, tra quelli del gruppo che li ha narrati, episodi che verrebbero in mente a uomini e donne che vivono condizioni di schiavitù, coercizione, privazione, guerra, fame. Nessuno di noi ha provato sulla propria pelle una vera mancanza di libertà e abbiamo il tempo e l’occasione di dedicarci come un lusso a quel dialogo fra anime che è la filosofia. La riflessione ci porta a notare come vi sia un’ambivalenza nella libertà che abbiamo delineato, tra il bisogno di rompere i vincoli soprattutto dei sentimenti, di staccarci dal luogo comune, dal consenso. Ma anche dall’altra parte il desiderio di condivisione dell’esperienza di libertà.

Alla fine degli incontri manca il tempo per la parte più strettamente filosofica che prevedeva la lettura di testi aderenti a quanto emerso.

La nostra tutor-mentor, in parte su nostro suggerimento, indica alcune tra le tante opere che si sarebbero potute affrontare:
Il Simposio di Platone dove nel mito dell’androgino c’è questo richiamo all’ambivalenza del distacco e della ricerca di unione della propria parte mancante e c’è l’origine dell’amore come liberazione dalla ricerca incessante del ricongiungimento;
–  Il Saggio sulla libertà e La servitù delle donne di J. Stuart Mill,
– accenni a Bertrand Ruassul che considera la filosofia come il sapere dell’incertezza, diverso dal sapere strutturato tipico per esempio delle scienze biologiche e che trae dal dubbio spesso irrisolto, la sua validità e la sua forza.

Si esce da questa esperienza con una definizione comune. E’ strettamente legata al gruppo e alla  ricerca fatta insieme non di una verità, ma di uno spunto di riflessione e con la consapevolezza di aver usato bene la compagnia e le parole per approfondire il pensiero e per aprirsi a interrogativi.

 libertà è ascoltarsi nella natura,
muovere verso la conquista di sé
per condividere una vita piena

Per approfondire il Dialogo socratico in Italia vedere anche Socrate in corsia di Paolo Dordoni.

8 pensieri su “Nel bosco la libertà

  1. Come sempre interessante quello che scrivi e interessante l’esperienza che hai fatto col gruppo. Condivido il fatto che chi ha provato la privazione della libertà ha probabilmente un’idea diversa della libertà stessa. E forse il fatto di avere vissuto sempre in condizioni di libertà (per quanto relativa e imperfetta) ci consente di “volare alto”, quasi dimenticando le piccole cose di ogni giorno che non per tutti e non dappertutto sono scontate. Ma alla fine questo siamo, perciò vado avanti.
    Personalmente la sensazione più grande di libertà l’ho provata ogni volta che ho potuto liberarmi dalle convenzioni sociali. Intendo quelle convenzioni che non hanno un reale valore di mantenimento di rapporti di civile convivenza, ma che rappresentano solo il mantenimento di una tradizione o di una mentalità.
    Mi spiego: mi sono sentito libero quando ho capito che potevo, ad esempio, non andare alla messa la domenica, gestire i miei rapporti a modo mio, magari diverso da quello che si aspettavano i genitori, il prete, gli amici, gli insegnanti. Quando ho capito che avrei potuto vivere senza televisione, o essere omosessuale o vivere con una donna senza sposarmi, o dividere una donna con un altro (senza mentire neanche per un momento), o avere io due donne, o dormire di giorno e stare sveglio la notte…. Insomma fare cose che senza intaccare la libertà degli altri (questo è il punto fondamentale) escono dal recinto troppo stretto di una fraintesa “normalità”. E attenzione: non dico che bisogna “provare tutto” per sentirsi liberi, credo che la libertà consista nella consapevolezza profonda di poterlo fare.
    Ancora un punto (ispirato, banalmente, dalla canzone di Gaber, che comunque mi risuona ormai da un sacco di tempo, segno evidente che va a toccare qualche corda):
    poiché la mia libertà si ferma dove inizia quella degli altri (di ciascun altro), è fondamentale che le istanze di tutti e di ognuno vengano in qualche modo condivise e mediate. Per questo la libertà è un concetto che ha un risvolto sociale, oltre che personale, e di questo spesso ci si dimentica, presi dalle istanze di una società edonistica, in cui le necessità del singolo precedono sempre quelle della comunità. Ma del resto, che lo dico a fare: “…libertà è partecipazione!”

  2. Si è interessante quello che dici. Nella nostra riflessione di gruppo la condivisione, che abbiamo evocato come altra faccia della libertà, somiglia alla partecipazione di Gaber (lui di certo in tempi più aperti e di voli più alti per le speranze di tutti in un mondo migliore… aperture che oggi sembrano sogni lontani). La nostra riflessione, forse intima e personale e non estesa ai concetti della politica e della giustizia e della libertà per tutti, spero che non sia pure un segno di involuzione, di bisogno di trovare piccola libertà personale. Bisogna riaprirsi a una dimensione di impegno e partecipazione sociale e riprendersi la partecipazione, la negoziazione, il confronto, la legalità argomentata su criteri equi, specie in questi tempi terribili.

  3. Rispondo causa la mia endemica pigrizia e la effettiva pertinenza del testo della canzone, con un pezzo fi Fabio concato che pur essendo milanese da gran prova di se. poveri milanesi ! sono così lontani dal mare! carissimi pezzi da 8 ve lo dichiaroufficialmente: se abitassimo più vicini al mare non avremmo molti dei nostri problemi!
    buona giornata e buona pasqua di rigenerazione o di qualsiasi cosa vi piaccia!!!
    Roberta

    ps trovate il testo su you tube s.v. Guido piano

  4. Scusate, ritorno per un attimo al percorso del gruppo di Mariangela. Mi sembra un percorso interessante e, tutto sommato, abbastanza innovativo per la nostra sonnolenta città.
    C’è però una cosa che non capisco.
    Tu dici: “Alla fine degli incontri manca il tempo per la parte più strettamente filosofica che prevedeva la lettura di testi aderenti a quanto emerso.”
    Se si tratta di filosofia pratica, dialogica e non teoretica, sei sicura che i testi siano indispensabili?
    E qui mi riallaccio anche al mio modo di vedere la libertà. [O, meglio, un certo aspetto della libertà, che è un argomento di una vastità notevole.] Quella che un filosofo orientale come Krishnamurti ha definito la “libertà dal conosciuto”.
    Per me essere liberi significa provare a liberarsi da tutto ciò che si conosce. Vivere il momento presente, senza attaccarsi a ciò che si conosce e si dà per scontato. Senza attaccarsi alle abitudini ad esempio, alle certezze, ai dogmi, alle dottrine.
    Naturalmente è un processo e non è facile realizzarlo pienamente. Siamo uomini e ci attacchiamo a molte cose, oggetti. Ai libri per esempio, pensando che la sapienza sia leggere molto. Hitler leggeva un libro a notte, ma invece di diventare un grande sapiente cercava solo conferme alle sue dottrine, ai suoi dogmi.
    A volte, vale la pena dimenticare ciò che sappiamo, liberarci da una conoscenza che può diventare una gabbia. Fare spazio. O, comunque, essere consapevoli del fatto che la libertà dal conosciuto può rigenerarci.

    • Il metodo socratico Nelson prevede una pratica che segue una serie di fasi (per la precisione 9), al nostro guppo è mancato il tempo di concluderle tutte e ci è mancato il tempo di leggere testi e miti che sicuramente approfondiremo da soli, ma che ci sarebbe piaciuto anche affrontare insieme. Il mio breve accenno a quello che mancava indicava semplicemente questo. Per rifarci ci siamo dati appuntamento su Internt e forse ci vedremo in una chat di gruppo per completare il percorso.

      Liberarsi dal conosciuto presuppone avere la ricchezzaa (un vero lusso) delle conoscenze e di nuovo una certa ambivalenza della libertà, come liberarsi delle convenzioni sociali presuppone la consapevolezza di un contesto.

      Ragazzi, sono proprio contenta di riprendere il confronto in questo blog.
      Buone feste

  5. Lucignolo è tornato! Con una piccola provocazione: si è davvero liberi solo nella verità. Perché nella verità noi siamo ciò che siamo, cioè siamo noi stessi e ci realizziamo. Perché un pesce non può realizzare se stesso fuori dall’acqua? Perché la verità sui pesci, cioè la loro natura, è che sono animali acquatici, e in quanto tali possono vivere veramente da pesci solo in acqua. Allo stesso modo l’uomo si realizza solo in Dio, perché la verità è che lui è una creatura e che Dio è il suo creatore.
    Ciao

    • I pesci non hanno bisogno di immaginare l’esistenza di Dio, pur compartecipando nell’economia biblica della creazione l’eessere creature al pari dell’uomo. L’uomo, a differenza dei pesci, ha sviluppato anche il desiderio e in molte forme la coscienza di Dio o del sovrannaturale. L’innegabile verità è che esiste la consapevolezza dell’uomo (cosa sia poi è dibattuto), ma il desiderio o la coscienza convertita dei credenti non ci dicono nulla sull’eventuale verità che Dio esista e soprattutto che sia quello della nostra religione.

  6. La ragione può arrivare a Dio. Dio è un concetto laico, un problema che l’uomo si è posto da sempre. Per quanto riguarda la fede in Gesù, occorre la rivelazione. A presto

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