Introduzione
M’imbattei per la prima volta in un ‘libro’ riguardo la teologia politica di San Paolo in modo apparentemente casuale: la sollecitazione in tal senso mi venne nell’ambito consueto degli studi storici della Grecia antica cui ero solita attendere. La corrispondenza con un Professore, un collega a me molto caro, mi suggeriva un testo da lui citato nel suo ultimo lavoro sulla democrazia ateniese, Jacob Taubes, La teologia politica di San Paolo[1], un libro che egli aveva definito nella nostra corrispondenza , “un libro luminoso da cui si irradia una straordinaria forza vitale e intellettuale”. Furono di certo queste parole provenienti da una fonte speciale a spingermi ad aprire una finestra diversa da quelle usate fino a questo momento nel contatto con San Paolo, una finestra che facesse entrare una luce forte per la vita nella sua concretezza e per l’intelletto oltre che per lo spirito. L’autore del libro Jacob Taubes aveva, a questo punto, bisogno di una presentazione perché di certo non era nell’ordinario delle mie frequentazioni. Nato nel 1923 e morto nel 1987 veniva definito una delle figure più complesse e controverse del Novecento. Gli appunti volgari su Internet dicevano che non si potrà raccontare senza Jacob Taubes l’inquietudine del Secolo breve che fu specchio di quella della persona di Taubes. Il Professore lo citava dopo Kierkegaard nella nota 11 della presentazione al libro di cui sopra sulla democrazia greca, un libro piccolo, densissimo, mozzafiato[2]. Egli aveva intitolato la presentazione Soglia: Da Auschwitz ad Atene? , titolo provocatorio che recuperava quello di C. Meier Professore di Storia Greca nell’università di Monaco il quale, in un suo precedente lavoro, aveva intravisto una continuità tra il momento decisivo della Storia greca, quello appunto in cui Clistene ateniese aveva posto le basi della ‘democrazia’ e il baratro della storia dell’Occidente democratico, l‘Olocausto’. Il Professore notava molto opportunamente che ormai nella riflessione storica in primo luogo, nella prassi politica immediatamente dopo e quindi addirittura nell’agire quotidiano, non potevamo più prescindere da Auschwitz. Come era vero! Un evento maestoso che in qualche modo riguardo tutti, riguarda l’uomo nella sua dignità. Ricordo come era stato vero per me il constatare con profonda inquietudine che quell’evento non avrebbe mai smesso di turbarmi e che, pur non avendolo di persona vissuto, mi aveva segnato, mi chiamava a rapporto spesso, anche se non ogni giorno, come se si fosse scritto nella coscienza, come se mi volesse urlare forte e vigoroso. Ricordo come avvenne a Gerusalemme, benché sia più facile a Gerusalemme ricordarsi di Auschwitz, lì subito fuori dall’orto del Getsemani, guardando la Città Santa da dove l’aveva guardata piangendo Gesù. Mi rimase dentro una inquietudine profonda dopo quel viaggio, profondissima. Non c’era alcun fatto storico che mi inquietasse come Auschwitz, nessuno che lasciasse in me un punto interrogativo di tale spessore, punto interrogativo che era quello della storia, quello della vita, quello della fede: perché? Il piccolo libro su Atene proseguiva, quindi, notando che la drammaticità del Novecento non faceva di Auschwitz un fatto isolato: “la prima guerra di dimensioni mondiali, il totalitarismo, lo sterminio di intere popolazioni, le armi di distruzioni di massa, il terrorismo su scala globale. Ci si domanda se l’umanità non sia minata da un’oscura quanto tangibile pulsione di morte…” Ogni parola era un duro colpo, quello di una serie che il Professore chiamava “la costellazione di Auschwitz il cui filo rosso è l’annientamento”, si nota opportunamente , annientamento che inaugura una serie drammatica in cui poco importa chi preceda e chi segua. A questo punto è obbligatorio riconoscere che uno dei motivi per cui si ha paura di Auschwich è il terrore che si ripeta di nuovo, è questo che inquieta e turba profondamente. La riflessione storica, tuttavia, non poteva certo far mancare la notazione di come il Novecento sia anche il secolo in cui le masse facciano una decisiva e meglio documentata comparsa sullo scenario della storia; decisiva rispetto alla loro prima comparsa che fu Atene, l’Atene di Clistene. E mentre il Professore inseriva gli opportuni riferimenti bibliografici per introdurre l’apocalittica, traduzione dello smarrimento dinanzi al trauma del presente, quasi di soppiatto arrivava Jacob Taubes e la sua teologia politica di San Paolo. Fu Kierkegaard a formulare per primo il concetto nel 1848, come era riportato opportunamente in nota: “Imperatori, re, papi, gesuiti e diplomatici hanno finora potuto governare il mondo in un momento decisivo; dall’epoca, però, in cui interverrà il Quarto Stato, si vedrà che soltanto i martiri possono governare il mondo”. Il totalitarismo non è a questo punto immaginabile se non come la manifestazione di una società di massa… Ma a questo punto non potevo più continuare a percorrere, mio malgrado, le orme dell’ amato, amatissimo Professore. Egli si stava ormai volgendo a passi giganti alla mia bellissima e bianca Atene, per dilettarsi, a suo modo, a riflettere, per differenza, sulla costruzione della democrazia ad Atene. Cosa significa “riflettere per differenza”? Si tratta di capire se Atene e la sua democrazia, nata nel momento ‘unico’ di una reale e concreta partecipazione della massa cittadina alla vita politica, conducano ad Auschwitz o se piuttosto, la partecipazione concreta delle masse alla vita politica della polis, cosa mai più verificatesi nel corso della storia, non abbia costituto un ‘antidoto’ a quella presenza estraneata delle masse del mondo contemporaneo che dovrebbe coincidere con l’annientamento. Partecipare alla vita politica in modo attivo da parte della massa. C’è davvero da aver paura perché i cittadini non sono stati mai così estraneati alla vita politica come in questo periodo. I politici decidono quello che serve per avere consenso da parte di una massa passiva a cui bisogna far credere di essere una massa attiva. La crisi della politica è la crisi dell’autonomia della decisione politica[3].
Intanto la Radio e i Giornali parlavano della fame di democrazia dei nostri dirimpettai in Africa: i giorni tra febbraio e marzo 2011 vedevano infatti. qualcosa di straordinario, che i paesi del nord Africa, da tempo succubi di dittature, si svegliarono un giorno affamati di democrazia. Come ha fatto un popolo così seviziato dalla dittatura da una parte e dall’estremismo religioso dall’altra a desiderare improvvisamente la democrazia? Ma la democrazia di Clìstene? Un giornalista sconosciuto aveva detto che “loro” non sarebbero stati capaci di gestire la democrazia, che aveva paura che “loro” avrebbero lasciato spazio a regimi terroristi i quali avrebbero saputo dominare in quelle masse la fame di libertà: ma come si permetteva? In tale e tanta circostanza non rimane che, come al solito stare a guardare interrogandosi sempre tra le righe se tali popoli non possano invece inaugurare una ‘terza via’ alla democrazia.
Prendendo per mano Jacob Taubes si può, intanto, fare il percorso in maniera diversa da quello che è passato per Atene nella speranza di incontrarsi su altre felici conclusioni e magari bagnarsi nelle acque del famoso fiume di Atene, l’Illisso!
Benvenuta Roberta… sento consonanze tra i tuoi e i miei studi anche se hai trovato esagerato il filo rosso di lettura del mio ex cattolico membro di comunità carismatica, c’è da riflettere.
Immagino che anche il libro che tu stai leggendo potrebbe giovare alle mie ricerche, nonché alla mia clamorosa ignoranza e all’imperativo di guardare la storia come la vita da più punti di vista.
Ho visitato Auschwitz due anni fa e non ho fatto che piangere durante tutta la visita guidata. Dal mio diario di allora scritto a caldo “Difficile da accettare eppure l’evidenza è così crudele e la dimensione del male così industriale e così organizzata su vasta scala che ti lascia esausto, senza forze”.
Una dimensione appunto di massa e di società organizzata… c’è da riflettere.
Alla dimensione industriale e calcolata a catena copio di seguito documenti dai miei libri di storia per la scuola. Ancora se ce ne fosse bisogno, ma davanti all’evidenza mai abbastanza e sarà curioso da leggere anche per il matematico.
Problemi tratio da un libro di testo di matematica per bambini della Germania nazista:
– La costruzione di un manicomio mentale costa 6 milioni di marchi. Quante case si potrebbero costruire con questa somma a 15000 marchi l’una?
Il manitenimento di un malato mentale costa circa 4 marchi al giorno, quello di uno storpio 5,50 marchi, quello di un criminale 3,50, i lavoratori manuali nemmeno 2 marchi al giorno per le loro famiglie. Illustrate queste cifre con un diagramma… eccetera.
Un bombardiere notturno può portare 1800 bombe incendiarie. Quanti chilometri di territorio può bombardare se fa cadere una bomba ogni secondo a una velocità di 250 km orari? Quanto distano i crateri eccetera…
matematica della guerra di masas, del razzismo di massa.
Un signore ha impiegato il 40% di un capitale di 18000 € al tasso annuo del 3,2% per 6 mesi.
La parte rimanente, impiegata al tasso annuo del 3,4%, gli ha fruttato un interesse di 734,40 €.
a) Quanto gli ha fruttato la prima parte del suo capitale?
b) Per quanto tempo ha impiegato la seconda parte del suo capitale?
c) Per quanto tempo avrebbe dovuto impiegare tutto il capitale al tasso annuo del 3% per ottenere l’interesse di 1350,00 €?
Una palazzina è composta da 4 appartamenti, rispettivamente di 180 mq … ecc. quanto deve versare ogni proprietario… ecc.
Tratti da un libro di matematica per la scuola secondaria di primo grado (attualmente utilizzato), i problemi di ripartizione sono programma di seconda, quindi si fanno a dodici anni.
Non voglio dire che sia la stessa cosa (rispetto ai problemi dei libri nazisti), ma di sicuro la scienza, e di conseguenza il suo insegnamento, come ogni insegnamento, non è mai neutrale, né potrebbe esserlo. Il vero problema, secondo la mia visione, è scegliere da quale parte stare, delle innumerevoli possibili, e poi essere coerenti, con i propri comportamenti, oltre che con le parole. E il punto fondamentale del mio ragionamento, come ho già scritto nel mio post precedente, è che la scelta deve essere fatta sui valori e, ancora di più, sulle buone pratiche, non su principi generali o fedi politiche o religiose che siano, perché questi ultimi, inevitabilmente dividono, anziché unire.
che c’entrano i libri nazisti con Jacob Taubes?
Scusate se oso lasciare questa citazione a commento, che può apparire forse un po’ provocatoria, ma è scritta da un grande filosofo antidogmatico che ci invita a guardare all’uomo in maniera meno ideologica e più pragmatica.
Stranamente, alcuni hanno scambiato questo filosofo per un ideologo e per di più del nazismo. Niente di più sbagliato. La sua visione, contro l’efficienza e la standardizzazione della società di massa (che ha il suo compimento supremo in Auschwitz), contro la religione idolatrica, ci insegna che il percorso è comunque sempre individuale, che l’esperienza della storia può insegnarci a non compiere per due volte lo stesso errore…
“Da dove proviene questa smisurata impazienza che fa oggi dell’uomo un delinquente […] i tre quarti della più elevata società si danno alla frode autorizzata e hanno da sopportare la malcoscienza della borsa e della speculazione: Che cos’è che li spinge? A perseguitarli, giorno e notte, non è la necessità vera e propria […] ma una terribile impazienza […] nonché un piacere e un amore altrettanto terribili per il denaro accumulato. In questa impazienza e in questo amore viene però nuovamente in luce quel fanatismo della libidine di potenza che un tempo era stato acceso dalla fede di essere in possesso della verità, e che aveva nomi cosÌ belli da far sÌ che si potesse osare di essere con buona coscienza inumani (bruciare ebrei, eretici e buoni libri, e devastare intere culture superiori come quelle del Perù e del Messico). Gli strumenti della libidine di potenza si sono trasformati, ma è ancor sempre in fiamme lo stesso vulcano, l’impazienza e lo smisurato amore vogliono le loro vittime: e quel che si faceva un tempo «per amor d’Iddio», lo si fa oggi per amor del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà sentimento di potenza e buona
coscienza al massimo grado.”
Friedrich Nietzsche, Aurora e Frammenti postumi (1879-1881), Adelphi, Milano 1964, framm. 204, p. 149.
Friedrich Nietzsche mi ha arricchito molto e non esito a scrivere il suo nome con la maiuscola perché lo ritengo un genio da molti punti di vista …ma nel mio viaggio a cavallo delle nuvole, il diario del quale leggerà chi vorrà, abbiamo adottato delle regole minime di navigazione! Comunque caro Stefano, ti anticipo che Jacob Taubes, che è il solo comandante della nave, citerà Nietzsche più e più volte nel suo volume e quindi avremo modo di incontrarLo! Il tuo contributo mi da inoltre l’occasione di presentare meglio lo scritto che sto realizzando, una sorta di diario di bordo della mia lettura del libro di Taubes, uno dei pochi pochissimi, che mi ha costretto leggendolo, a leggerne altri cento e ancora altri cento e poi mille e forse altri mille. Non riuscirò mai a dire che cosa è stato ed è per me questo testo: una passione travolgente, una assoluta avventura, una risposta ed una domanda, un coraggio infinito di sapere. Noli timere!
Bene. Se ci illustrerai qualcos’altro delle tesi di Taubes a me fa piacere, visto che non lo conosco. Anche se, la terza via tra democrazia e totalitarismo a cui tu accenni, mi sembri ancora risiedere nel mondo dell’utopia. E questo, sono d’accordo con Marco, non è privo di pericoli…
Oggi, nell’era di internet, è anche difficile pensare ad una democrazia dell’Agorà in cui, non ce lo scordiamo, le donne e gli schiavi erano esclusi.
Sono comunque aperto come un libro bianco, anche se, un piccolo pregiudizio ce l’ho: difficilmente affiderei ad un teologo l’amministrazione di uno stato. Sono uno di quelli che pensa ad es., che sia una bella notizia che il Dalai Lama rinunci al potere temporale in Tibet. E’ bene che il potere sia in mano a dei laici.
E, direbbe Nietzsche, in mano a dei laici non corrotti dal denaro e che invitino i popoli a coltivare la bellezza e la poesia della vita.
Taubes non è un teologo è un filosofo!
Jacob Taubes (1923/1986)
di Elettra Stimilli
Jacob Taubes è nato a Vienna, il 23 febbraio 1923, da una famiglia di origini orientali che vanta una lunga serie di rabbini. Nel 1936 suo padre, Zwi Taubes, viene nominato rabbino capo a Zurigo, dove si trasferisce con tutta la famiglia, scampando così, insieme ai suoi, alla persecuzione nazista. Nel 1943, Jacob Taubes fu nominato rabbino. Studia filosofia e storia all’Università di Zurigo, dove, nel 1947, consegue il dottorato e pubblica la sua dissertazione, Escatologia occidentale. Ebbe inizio per lui una brillante e movimentata carriera accademica. Dal 1948 Taubes ottiene un posto al Jewish Theological Seminary di New York. Nel 1949 sposa Susan Anima Feldmann. Nello stesso anno conosce personalmente Gershom Scholem, che si trova a New York per una conferenza. Dopo questo incontro, seguito da un intenso rapporto epistolare, e grazie ad un premio della Scuola rabbinica di New York, si trascerisce a Gerusalemme con la prospettiva di diventare assistente di Scholem e docente di Sociologia della religione presso l’Università ebraica. Gli viene conferito il Premio Warburg. Ma la relazione con Scholem si rivela fin da subito fallimentare per Taubes: motivazioni personali e conflitti teorici portano i due ad una rapida interruzione dei rapporti, che non verrà mai più sanata. Dopo il 1953 ritorna definitivamente negli USA, dove lavora in diverse Università. Nel 1956 viene nominato professore di Storia delle Religioni e Filosofia della Religione alla Columbia University di New York. La profonda affinità che unì Taubes alla moglie Susan, con cui condivise gli studi, diventò con il tempo motivo di rottura del loro rapporto. Nel 1969, dopo aver pubblicato il romanzo autobiografico Divorcing, Susan Taubes si uccide. La vita di Taubes era stata già segnata dalla morte suicida del padre, nel 1966, a Gerusalemme. Questi eventi segnano in maniera indelebile il suo equilibrio già piuttosto precario, tanto che fu costretto a numerosi ricoveri psichiatrici. Malgrado il suo secondo matrimonio con Margherita von Brentano, la sua vita sentimentale è stata attraversata da numerose donne, percorsa da passioni intense ma brevi, rapporti di amicizia e di lavoro profondi ma conflittuali. Dal 1966 gli viene assegnata stabilmente la cattedra di Giudaistica presso la Freie Universität di Berlino, che manterrà fino al 1979, anno in cui assume la direzione del nuovo Dipartimento di Ermeneutica, creato ad personam presso l’Istituto di Filosofia. Nel 1968 il suo Dipartimento diventa il cuore del movimento studentesco di Rudi Dutschke. Nel 1978 Taubes incontra personalmente per la prima volta Carl Schmitt, con cui rimane in contatto epistolare almeno fino al 1980; un rapporto controverso e molto dibattuto, che egli ha tenuto a rendere pubblico promuovendo, in vita, la pubblicazione, presso la Merve Verlag di Berlino, del volumetto Gegenstrebige Fügung (1987), che costituisce la ricostruzione di questo “divergente accordo”. Nel 1987, già gravemente ammalato, accetta l’invito di Enno Rudolph e tiene, presso il Centro Studi della Comunità Evangelica di Heidelberg, un seminario sulla Lettera ai Romani, poi pubblicato con il titolo La teologia politica di Paolo. Muore qualche settimana dopo, il 21 marzo del 1987.
Bibliografia
Escatologia occidentale, a cura di E. Stimilli, Prefazione di M. Ranchetti, Garzanti, Milano 1997.
In divergente accordo. Scritti su Carl Schmitt, a cura di E. Stimilli, Quodlibet, Macerata 1996.
La teologia politica di San Paolo, trad. it. di P. Dal Santo, Adelphi, Milano 1997.
Il prezzo del messianesimo. Lettere di Jacob Taubes a Gershom Scholem e altri scritti, a cura di E. Stimilli, Quodlibet, Macerata 2000.
Messianismo e cultura. Saggi di politica teologia e storia, ed. it. e prefazione di E. Stimilli, Garzanti, Milano 2001.
Sicuramente la libertà è inebriante e spero che i nordafricani vogliano davvero una democrazia. Ma poiché il mio ottimismo è piuttosto realista, ho dei dubbi. Che spero vengano smentiti. Intento mperò il leader dei ribelli libici, fino a ieri ministro di Gheddafi (cosa non secondaria), ha detto che sì, ci saranno a breve le elezioni, ma in ogni caso, volenti o nolenti, la legge libica sarà la sharia.
Ve lo immaginate l’Andreotti di 40 anni fa comunicare, prima delle elezioni, che in ogni caso le leggi che governeranno l’Italia saranno quelle ecclesiastiche? Che avreste detto?
Che forse per i nordafricani il termine democrazia non ha esattamente lo stesso significato che ha per noi? Vedremo.