Un uomo dalla terra ferma assiste da lontano a un naufragio e sente in cuor suo un sottile piacere, che non è per la disgrazia altrui ma per la percezione della propria incolumità.
La metafora del naufragio con spettatore è una celebre immagine di Lucrezio nel De rerum natura. Il filosofo Blumemberg la percorre dall’antichità ai moderni nelle sue diverse chiavi di lettura prendendo talora le parti del naufrago e talora quelle del suo osservatore incolume, facendo di questa immagine efficace un persistente paradigma della vita.
Il libro mi colpì molto e l’ho riletto di recente.
Molti i nomi prestigiosi oltre a Lucrezio, Goethe, gli illuministi, Montaigne, Hegel e altri, ma io qui andrò a braccio seguendo il filo di ciò che mi è rimasto di questa metafora, modalità del discorso e dei percorsi della mente che è un modo di figurare la realtà che amo molto anche se ha i suoi limiti nel fermarsi a un’approssimazione della conoscenza che può portare fuori strada o banalizzare.
Chi siamo noi? Siamo il marinaio, l’Ulisse attratto dal desiderio di violare e trasgredire, andare e lasciare le sicurezze evocato dall’analogia tra i rischi della vita avventurosa in mare aperto. In alternativa siamo gli ancorati sulla terra ferma, saldi alle sicurezze stabili di una vita senza troppe scosse, che evitano sistematicamente di affrontare il rischio.
Volendo leggere la metafora come i due opposti che si escludono, possiamo scegliere per indole l’uno o l’altro campo oppure trovarci fortuitamente in certe circostanze della vita dalla parte di chi non è stato travolto dalla catastrofe mentre vicino a lui qualcuno è stato invece colpito. Volendo poi guardare bene alla natura stessa della vita e alla sua perenne impermanenza e transitorietà, siamo però costretti a riconoscere con Pascal “vous êtes embarqueés” (siamo tutti a bordo senza scampo). Nessuno è immune dai piccoli e grandi naufragi della perdita e della sofferenza. Anche il più incallito spettatore non può esimersi dal recitare la sua parte di attore e non potrà non trovare la sua deriva o presto o tardi. Bisogna vivere facendo i conti con i relitti, reinventarsi dalla zattera un nuovo natante il più possibile confortevole e attrezzato per il resto della navigazione. E uno degli aspetti più straordinari in questa condizione umana è rappresentato dal fatto che non c’è modo di scendere dalla nave per costruirne una nuova, si è costretti a ristrutturare rimanendo a bordo.
C’è la lettura scientifica per cui a un certo punto la rivoluzione copernicana ha portato nella coscienza centrata e finalizzata di un universo divinamente voluto e orientato, la deriva di un decentramento e di uno sbando perenne secondo cui la scienza non esaurisce le aspirazioni dell’uomo della sicurezza di una vera e propria nave che conduca da qualche parte in un viaggio, ma tuttavia una tavola che ci sostiene per non annegare (sempre metafore e evoluzioni di metafore portate agli estremi dai vari autori).
C’è anche la lettura in chiave storica. Assistere alle macerie della storia come uno spettatore che non vi ha preso parte, o come chi separa i suoi fatti personali da quelli generali dei tumulti di rivoluzioni cercando pace per sé anche nel succedersi inevitabile di guerre e di tragedie.
C’è infine una lettura psicologica che tanto somiglia a pratiche meditative. Assistere al naufragio corrisponde al sereno distacco di fronte al passare dei turbini e dei fatti che sono sempre e prima di tutto fatti propri e non altrui. La coscienza e consapevolezza del sé naufrago accetta e lascia passare, trascorrere (scorrere attraverso).
Lo spettatore che sembrava il noioso sedentario pantofolaio di colpo assume la saggezza della ragione che abbraccia le onde così il ciclone delle emozioni e delle catastrofi è accolto perché non può che passare. Che è poi il modo per trasformare, come fa Dioniso nella coppa di Exekias, i pirati che imperversano intorno alla nave in guizzanti delfini.
Riflessioni in margine alla lettura di Hans Blumemberg, Naufragio con spettatore
Interessante. Mi hai fatto venire in mente quel racconto del Buddha in cui il maestro immagina di arrivare davanti a una grande distesa di acqua che gli interrompe il cammino. No sa come attraversarla. Allora costruisce, con grande pazienza, una zattera che gli consenta di arrivare all’altra riva.
Remando con mani e piedi riesce ad attraversare la piena d’acqua e a giungere finalmente all’altra sponda. Allora pensa: posso portarmi la zattera con me, può essermi ancora utile. Se il mio percorso è attaccamento alle cose (la zattera) o alle persone, posso farlo; se è stato importante invece raggiungere l’altra riva, posso, finalmente, lasciarla andare.
Dissento un po sulla figura di Ulisse.Non è mosso dalla volontà di trasgredire, bensì dalla vendetta e della passione, in quello omerico, in quello dantesco il viaggio è mosso dal desiderio di conoscere(troppo rispetto al volere do Dio ,stando a Dante) e, che sarà poi causa del suo naufragio. C’è da dire poi che Omero come dice Elliot rappresenta la ragione, ovvero il mondo che tramite la razionalità viene progettato in questo modo, piuttosto che se la ragione fosse stata permeata dalle passioni, (e le sirene stanno a ricordarci proprio questo aspetto della passione).Poi è vero che da Pascal in poi il mare diventa più un’opportunità che un pericolo, anche se già prima la thalassocrazia ateniese aveva dato i suoi buoni frutti, e la paura del mare soprattutto grazie al mediterraneo e alle conoscenze parmenidee sula sfericita della terra avevano colmato quel senso di terrore. Vero pure che filosofi come Platone spingono più verso la terra, dove è possibile la misura, l’ordine è la costruzione che il mare dove il naufragio che sia in bonaccia come per Cornard, o in tempesta come per Ovidio, rappresenta un pericolo troppo grande rispetto ai vantaggi. C’è un quadro di Matisse dove gli spettatori sulla spiaggia, che assistono al mare in burrasca e, condividono lo stesso destino dei cari imbarcati. Questo per evidenziare infondo che tra terra e mare c’è una linea di confine, un margine dove l’una si perde nell’altra e in quello spazio c’è effettivamente uno scambio di verità-derivate Comunque l’argomento è molto interessante e sarebbe bello poterne parlare di più
Grazie del commento.
Potrei avere qualche dritta in più sul quadro si Matisse?
Rettifico, non è Matis (anche se pure lui si è dedicato al paesaggio dell’alta Normandia) ma Monet, il titolo del quadro è ” Grosse mer a Etretat”.
Ho visto il quadro. Grazie, non lo conoscevo, è interessante. In effetti c’è un alto scoglio che sovrasta un gruppo che sta in basso sulla riva del mare in tempesta. E’ come quando si ha l’impressione che stando lassù forse si sarebbe al sicuro, ma al bordo del mare grosso si rischia di essere travolti. Il bagnasciuga del resto è mobile e incerto il confine tra mare e terra ferma. In più questo gruppo è abbigliato in una mise da alta borghesia. L’effetto di sicurezza in pericolo è garantito.