Oggi, a esequie già avvenute, ricevo la notizia: la mia maestra è morta. Aveva 94 anni. L’avevo sentita per telefono qualche mese fa, l’avevo incontrata qualche anno fa al centro e le avevo raccontato che lavoro faccio. Mi ha offerto un suo giudizio generoso e l’incoraggiamento positivo di sempre, di forte carica morale.
La ricordo come una delle figure chiave della mia formazione. Paziente, attenta, sapeva aspettare i tempi di ognuno. La prima frase che ha scritto in classe alla scuola elementare Aristide Gabelli di Perugia era “in autunno cadono le foglie”. La bella calligrafia ci guidava alla lavagna e la voce tremolante mi sembrava già allora carica di anni. Dolcissima ma capace di estrema fermezza, parlava sempre lentamente. Era molto autorevole. Ricordo che per insegnarci l’importanza della punteggiatura ci raccontava di un tale che era finito in prigione e che per un errore di punteggiatura veniva liberato. “Grazia impossibile, trattenerlo in prigione” era diventato “Grazia, impossibile trattenerlo in prigione”. Lo uso anche io con i miei studenti e anche a loro piace molto.
Ricordo un metro quadrato fatto di quadretti di un decimetro di lato tutti di carte colorate incollati ad uno ad uno. Ricordo i numeri romani e la mano aperta con le cinque dita che è simbolizzata dalla V e le due V rovesciate insieme a formare la X che indicano il dieci. Ricordo il gioco di prendere le misure a occhio per poi verificarle con gli strumenti di misura (era come un divertente indovinello). Ricordo il piacere e la curiosità di imparare che non mi hanno mai più abbandonato. E la sua spiegazione che era da ascoltare perché rispondeva a tante domande e ne apriva tante altre. E com’era bello scrivere i pensierini. Non ho mai smesso di armare la penna per capire meglio cosa avevo in testa.
I soprannomi che mi aveva dato erano Mercurio e argento vivo. Mi dicono molto delle energie e dell’indulgenza che ci vogliono per insegnare, doti che lei aveva pienamente, unite alla passione e alla grande autorevolezza. Tutto questo sta a dirmi di come il lavoro che fa l’insegnante non si conta a ore frontali in classe e di quanto altro amore c’è dietro.
All’ultimo anno della scuola una volta ho consegnato un compito accuratamente scritto rovesciando la pancia della emme e della enne come avevo visto fare ai grandi. Dissentiva davanti a quel puntiglioso rovescio ottenuto con sforzo certosino e mi spiegava che si cresce meglio senza usare questi mezzi.
Una delle sue ultime lezioni è stata la lettura di un articolo sulla nube di diossina di Seveso. Si è impresso nella mia mente quel giorno. Come tanti altri con lei che coglieva tutte le occasioni per lasciare un segno di valore, per insegnare appunto. Il giorno che mia madre mi ha detto che mio padre era morto, c’era una stanza troppo illuminata piena di troppa gente, che mi sembrava quasi tutta estranea. Avevo 11 anni e di lì a una settimana sarei andata in prima media. Sarei voluta scappare, ma tra i volti noti e familiari c’era la mia maestra Bruna Parretti. Una grandissima donna a cui devo moltissimo. Sono grata di averla avuta e mi ha sempre accompagnato il suo ricordo e la sua impronta come quella di un mentore che mi ha saputo trasmettere curiosità e infondere fiducia in me stessa anche in fasi delicate della vita.