Religione per atei

Molto bello questo saggio di Alain de Botton “Del buon uso della religione”, edito da Guanda. Il vero significato dell’operazione viene però dal sottotitolo: “Una guida per non credenti”. De Botton sostiene infatti che la religione non è solo materia per credenti, ma anche per atei; in particolare per tutti quegli atei che hanno a cuore la cultura come faro dell’umanità.
L’operazione di de Botton è quella di osservare le migliori pratiche religiose e capire come applicarle alla società laica. Una società che non riesce più a rendere credibili i propri valori, a ritualizzarli in maniera efficace, a farli rielaborare dai propri cittadini, che appaiono sempre più eterodiretti, abulici, igienizzati, sterili.Così de Botton nota che «…non sappiamo più costruire templi. Non abbiamo strumenti per esprimere la gratitudine. L’idea di leggere un manuale di auto-aiuto ci pare in contrasto con i nostri nobili principi. Rifiutiamo l’esercizio mentale. Di rado vediamo degli sconosciuti cantare tutti insieme». In sostanza, manca nella comunità laica moderna sempre più la consapevolezza dei valori per i quali si vive e un approccio rituale che li consolidi. A meno che, non vogliamo considerare il centro commerciale e la televisione, le cose fondamentali per cui vale la pena vivere.
Nel meglio delle pratiche religiose (io direi spirituali, se de Botton non si offende), possiamo innanzitutto, ritrovare il senso della comunità. E poi la gentilezza, intesa come forma massima di non violenza; l’istruzione, come educazione dell’essere alla conoscenza di sé, non come mera competizione. E tante altre cose che possono rendere felice (!?!) la nostra vita.
De Botton, in particolare, propone di fare della cultura, la religione dei laici. Vivere secondo gli insegnamenti della letteratura, dell’arte come della filosofia, può far sì che i laici promuovano una loro spiritualità, così come i credenti si muovono in base agli insegnamenti della fede.
Dante e Shakespeare, Platone e Aristotele, Leonardo e Picasso non possiamo già oggi considerarli dei mentori che hanno illuminato la nostra vita alla stregua di Cristo, Buddha o Zoroastro?
Io penso che il filo della consapevolezza è un filo rosso che unisce civiltà diverse verso un unico percorso, indipendentemente dall’essere o meno credenti. Tale filo rosso è l’esaltazione delle vocazioni umane, della loro unicità e intrinseca qualità.
Il libro di de Botton è un piccolo manuale che può esserci di esempio su ciò che possiamo fare per far sì che la creatività prenda il sopravvento sulle sterili contrapposizioni ideologiche e dottrinarie, che rendono sempre più credenti e non credenti vittime del calderone della cultura di massa.

2 pensieri su “Religione per atei

  1. Interessante questo libro che suggerisci. Sarà una delle mie prossime letture così come il soggetto è già una delle mie riflessioni degli ultimi anni.

  2. Motivi di interesse in quanto riporti li trovo anche io. Innanzi tutto il proporre la cultura come una religione. Non è che considero la cultura una religione, ma trovo che questo de Bottom sia animato da una sincera ricerca della verità, tanto che si rende conto che in qualche modo è bene che i non credenti imitino i credenti perché, nonostante tanti errori commessi dai credenti, la religione dà all’uomo motivazioni alte. Più alte della terra, e di questo se ne giova la società.
    La seconda considerazione è che i vari Dante, Plkatone, Aristotele ecc., lo non si proponevano come profeti, essendo consci di non esserlo ed, anzi, essendo loro stessi sei credenti a qualche titolo. Il de Bottom, perciò, propone, anche se in modo più disincantato, una sorta di deificazione dei suoi miti, un po’ come facevano gli egiziani coi faraoni. Nonostante ciò in tale proposta io leggo un inconscio ma insopprimibile bisogno di Dio.

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