Riflessioni di un insegnante sui valori da trasmettere a scuola

Alcuni mesi fa Ho scritto queste riflessioni, suscitate da fatti di cronaca letti sul giornale (e non solo). Colgo l’occasione per pubblicarle nel blog.

Riflessioni sui valori sui quali fondare l’insegnamento nella scuola pubblica

Qualche giorno fa, all’entrata a scuola, in quei pochi minuti in cui ci si ritrova in sala insegnanti prima di andare in classe, ho avuto un breve scambio di opinioni con una collega sui valori che la scuola dovrebbe trasmettere agli studenti. Lei sosteneva che quelli relativi alla famiglia sono i valori da trasmettere, perché è in quel contesto che si sperimenta la solidarietà. L’argomento è stato per me oggetto di riflessione nel recente passato, così non ho dovuto pensare a lungo prima di rispondere. Ho detto che, a mio parere, questi valori non sono sufficienti a garantire basi solide sulle quali fondare la nostra attività d’insegnamento, e che il ruolo della famiglia nella formazione dei giovani è oggi fortemente sopravvalutato. Il suono della “campanella” ci ha avvertiti che era ora di iniziare il lavoro in classe, e così non abbiamo potuto continuare la discussione. Mi è rimasto, però, il desiderio di approfondire la mia riflessione, ed è per questo che sto scrivendo queste righe.

Un altro spunto per scrivere queste riflessioni mi è stato fornito da alcuni fatti, avvenuti nel paese di P., che si trova vicino al luogo dove lavoro e non lontano dalla città in cui vivo, che hanno avuto un certo rilievo nelle cronache locali e sono arrivati anche sui giornali nazionali. È successo che alcuni ragazzi dell’età di circa sedici o diciotto anni hanno avuto rapporti sessuali con una ragazzina dell’età di dodici. Gli incontri tra i ragazzi e la ragazzina avvenivano in casa di lei, in presenza della madre e con la sua approvazione. I giornali riportavano anche che nella casa in cui avvenivano gli incontri le condizioni igieniche erano pessime, con sporcizia e animali che si muovevano liberi all’interno.
Fin qui la notizia ci riempie di sgomento, ma, purtroppo, ci ricorda altre notizie simili che abbiamo già sentito. Una madre che vive nel degrado, spinta dall’ignoranza e dal bisogno, fa prostituire la figlia, non è la prima volta che sentiamo notizie del genere. Ma questo non è tutto: i giornali riportavano anche che la madre, lungi dall’accettare denaro per i rapporti che questi ragazzi avevano con la figlia, al contrario era lei a fare loro dei piccoli regali. Si parlava di ricariche per il cellulare o altri regali di piccolo valore che la madre faceva ai ragazzi perché avessero rapporti sessuali con la figlia. La spiegazione che dava la madre era che così la figlia avrebbe migliorato i suoi rapporti sociali, avrebbe avuto più amici e non sarebbe rimasta sola… Può sembrare che questo particolare non modifichi di molto il senso di questa storia, ma secondo me cambia totalmente l’ambito in cui il fatto si situa, da quello del degrado a quello più sottile e indecifrabile della follia.

Il venire a conoscenza di questi fatti suscita in me due ordini di riflessioni.
Il primo, assolutamente banale, è che la sua famiglia non poteva fare nulla per questa ragazzina, anzi era la causa dei suoi problemi.
Il secondo è che un paese piccolo come P., che conta poche migliaia di abitanti, con un tasso di criminalità bassissimo, dove tutti o quasi si conoscono personalmente, dove c’è una piccola scuola, frequentata anche dalla ragazzina, non possiede gli “anticorpi” per difendersi da situazioni di devianza così palesi. Questa situazione si è trascinata per mesi, forse per anni, senza che nessuno ne parlasse e non era coinvolta una sola famiglia, magari disastrata, perché anche i ragazzi che andavano a “far visita” a questa famiglia lo erano, e anche le loro famiglie, visto che erano minorenni e proprio in famiglia vivevano. Tutte le istituzioni e le realtà presenti a P. che hanno un ruolo sociale, dai carabinieri alla scuola, dalla chiesa al comune, dalle varie famiglie coinvolte agli assistenti sociali che pure il comune di P. deve avere, non sono state in grado di scoprire quello che stava avvenendo, se non dopo che era avvenuto. Non sono state in grado di proteggere questa ragazzina, che ne aveva pienamente diritto.

Io credo che la società civile, con le sue istituzioni, dallo stato centrale a quelle locali, debba farsi carico di riconoscere e gestire le situazioni di devianza che inevitabilmente si verranno prima o poi a creare nel suo ambito. Ma credo anche che non debba fermarsi qui, ma farsi carico dell’educazione e della formazione dei suoi membri, della crescita personale e culturale dei suoi cittadini. Credo che questo compito non possa essere delegato a nessuno, ne’ alle famiglie o alla famiglia intesa come istituzione, ne’ ad altre “agenzie” civili o militari, laiche o religiose che siano. Perché questo possa accadere è ovviamente necessario che alcuni valori di fondo siano condivisi dai membri della comunità, ma nella società italiana attuale è estremamente difficile trovare valori che possano esserlo.

Tradizionalmente i valori condivisi erano riconducibili a due gruppi.
Il primo è quello dei valori religiosi della chiesa cattolica, e a questo insieme di valori fanno ancora riferimento molti di quelli che si occupano di educazione, fuori e dentro la scuola. Questi valori non sono però più adeguati nella società attuale. Appare assolutamente evidente che non sono più valori condivisi. Nella scuola italiana attuale la percentuale di studenti con cittadinanza non italiana si avvicina al 10% (e in alcune regioni, come l’Umbria, questa soglia era già stata superata nel 2008). La stragrande maggioranza di questi stranieri non è cattolica, e a questi vano aggiunti tutti gli italiani di origine straniera, gli italiani di altre fedi, gli atei, gli agnostici, i cattolici “dissidenti” che non si riconoscono in tutti i valori della loro religione… Insomma appare evidente che proponendo come fondanti i valori cattolici si finisce per rivolgersi solo a una parte, probabilmente minoritaria, della società. Si finisce, in ultima analisi, per proporre valori che creano divisioni all’interno della società, vanificando le intenzioni di attuare un insegnamento non discriminatorio.

Il secondo gruppo di valori tradizionalmente accettato nella scuola era quello che deriva dall’esperienza della resistenza partigiana, ma quest’esperienza è oggi pesantemente criticata e finanche osteggiata da una parte importante della politica e della società italiana. Per questo anche in questa direzione non sembra possibile trovare valori condivisi che possano servire da base per l’insegnamento nella scuola pubblica.

Eppure una direzione comune, che tutti gli operatori della scuola, nel rispetto della libertà d’insegnamento, possano seguire, è necessaria, per evitare di fornire messaggi contraddittori e fuorvianti. La mia modesta proposta è la seguente: il valore di base, che può forse essere condiviso da molti se non da tutti gli operatori, e può servire come base per un insegnamento è la solidarietà. Ma l’azione didattica ed educativa portata avanti su questa base può essere efficace solo se quest’idea è intesa nel suo senso più ampio e più profondo. Perciò non solidarietà con chi ci è vicino, con i familiari, gli amici, i parenti, perché altrimenti si sposa un significato di quest’idea nella migliore delle ipotesi meschino, perché troppo facile, nella peggiore addirittura egoistico. Non c’è nessuna difficoltà e nessuna crescita morale nell’imparare ad essere solidali con la propria famiglia o con chi condivide con noi un credo, una fede o un interesse. La nostra solidarietà diviene un modo per curare un nostro interesse.

La solidarietà vera, quella che mi interessa e che vorrei insegnare ai miei allievi, è quella che si esercita nei confronti di chi non è e mai sarà in grado di darmi qualcosa in cambio, ma anzi rappresenta magari una minaccia alle abitudini di una vita. La solidarietà alla quale penso si esercita solo in nome del diritto dell’altra persona di sviluppare la sua propria personalità e di condurre la sua vita sulla base delle sue personali idee e aspirazioni. Quello che vorrei è insegnare ai miei allievi e a me stesso la solidarietà nei confronti di quell’immigrato clandestino, oggi nullatenente e affamato, che domani, grazie anche al mio aiuto, potrebbe ottenere il lavoro che desidera mio figlio. Vorrei insegnare ai miei allievi e a me stesso la solidarietà nei confronti degli stranieri di religione musulmana, magari fondamentalisti, che mettono in discussione la mia idea del mondo, provocandomi angosce e paure. Vorrei insegnare ai miei allievi e a me stesso la solidarietà nei confronti dei disoccupati, dei tossicodipendenti, dei carcerati, dei violenti, dei fannulloni, dei nullatenenti… di chiunque abbia fatto la sua scelta di vita, anche e soprattutto se questa scelta è profondamente diversa dalla mia.

16 marzo 2011

3 pensieri su “Riflessioni di un insegnante sui valori da trasmettere a scuola

  1. Ho letto e riletto le tue riflessioni e posso dire che sono d’accordo e non sono d’accordo.
    Sono d’accordo in senso generale, però ritengo che la solidarietà non sia un valore di segno assoluto….Condivido in generale e specialmente l’idea di sostenere i disagiati. Ma perché, cioè sulla base di che, di quali valori? Ritengo che la solidarietà sia una pratica, una modalità di rapportarsi agli altri e alla società che a sua volta è condizionata e discende dai valori cui fa riferimento. Se il valore di riferimento è il maggior profitto ecco che la solidarietà sarà di interesse e così via, come anche si evince dalle tue stesse parole.

    Non liquiderei né tanto velocemente i valori cristiani (preferisco far riferimento al cristianesimo più che al cattolicesimo da te menzionato), né tantomeno i valori della resistenza contro il nazifascismo. Prenderei in considerazione anche i valori espressi dall’Illuminismo e da coloro che hanno lavorato per la trasformazione della società dall’ancien régime alla società di diritto e al diritto universale. Cercherei la migliore collaborazione con le famiglie e con i nuclei di persone che sono tra loro solidali (conviventi, case famiglia, eventuali esperienze di comune). Aggiungerei nella mia attenzione i valori di nuove religioni meno usuali nel nostro Paese, come quella buddista. Mi rivolgerei ancora e principalmente ai valori della carta costituzionale. Prenderei in considerazione i valori espressi dagli atei umanisti e alla fine di tutte queste considerazioni cercherei un denominatore o più denominatori comuni che permettano il massimo rispetto delle coscienze della persona umana e la maggior possibilità di costruzione di una società per tutti.

    L’importante per la società civile e la scuola pubblica sarebbe poter avere le sedi dove discuterne, questo blog nel suo piccolo può rappresentarne una.
    Ci diciamo spesso “basta con il parlare tanto per parlare”, parliamo di cultura e di conoscenze e perché no di scienza, letteratura e matematica, parliamo, confrontiamoci anche su temi complessi, come dice Stefano mettiamo in atto collaborazioni efficaci, scontri di idee
    Se occorre, discutiamo.

    Segue appena riesco a mettere meglio a punto le idee, un articolo più ….. articolato.
    Ciao

    Mariangela

    • Specifico meglio alcune idee espresse nel mio post, in attesa dell’articolo “più articolato”… 🙂

      Dal mio punto di vista la questione non è capire quali valori sono migliori di altri (o più utili, o più utilizzabili), ma trovare una base dalla quale partire che possa ricevere un “ampio consenso” (come va di moda dire in altri ambiti) e permettere così di percorrere (o almeno di immaginare) una strada comune.
      Perciò non si tratta di “liquidare” i valori cattolici (o cristiani), o quelli buddisti o quelli della resistenza, ecc. Ognuno, nella sua personale riflessione, partirà da dove crede opportuno, in base a quello che è e a quello in cui crede. Ma poi, quando si tratterà di arrivare ad una sintesi condivisa, tutte le ideologie, le scelte di vita, le convinzioni “politiche” (nel senso più ampio del termine) o religiose ecc., dovranno necessariamente essere lasciate fuori, perché altrimenti costituiranno ostacoli insormontabili alla costruzione di un sistema di valori condiviso.
      La solidarietà è una pratica, è vero, ma può assumere il ruolo di valore, se lo si vuole. Non tutte le solidarietà sono uguali, anche questo è vero, e non dubito che i componenti di un clan mafioso (ad esempio) siano solidali tra loro. Io ho dato alcune idee su qual è la solidarietà in cui credo. Ovviamente non pretendo di concludere l’argomento con un articoletto su un blog (anche se è il blog più bello del mondo :-)). Il mio, più che una proposta, è uno spunto per riflettere (per chi vorrà farlo), e i valori possibili possono essere molti altri.

      Ancora un paio di cose:
      1. L’idea di “sostenere i disagiati” (all’interno della scuola) non mi appartiene molto, e comunque non era lo scopo di questo articolo, che voleva rivolgersi alla pratica dell’insegnamento nella sua forma più generale, e non all’affrontare le situazioni di disagio. Anche se quest’ultimo aspetto è, ovviamente, fondamentale nella pratica dell’insegnamento, non era a questo che si riferiva il mio intervento.
      2. Mi riferisco ai valori cattolici, anziché a quelli cristiani in generale, perché questo è il riferimento utilizzato da molti operatori (insegnanti e non solo) della scuola.

      • Ho usato il termine disagiati che però non rappresenta quello che volevo intendere. Neanche io mi riconosco in una idea di scuola rivolta al disagio.
        La scuola pubblica è scuola per tutti e deve dare pari opportunità, nonostante le differenze di partenza, socio-economiche, di salute, di cultura e lingua di origine, di religione o non religione…
        Queste differenze a volte si traducono in disagi (solo a volte), altre volte semplicemente sono uno degli aspetti del nostro lavoro, come fronteggiare questa varietà.

        Ho usato una parola che non rispecchia pienamente il pensiero che volevo trasmettere, ho citato la parte per il tutto che voleva richiamare (l’esigenza di uguaglianza).

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