Mio cielo

Mio cielo

specchiera del mondo

quante cose mi hai nascosto

mentre io ingenua mi agitavo nella febbre dei miei enigmi

non avevo mai risposte da te

solo le mie domande che tornavano indietro

ancora più,estranee e impenetrabili

per l’odore selvatico di aria aperta,

ti chiedo adesso una pioggia leggera

che mi riporti dentro ad un grembo a dormire.

(da “Grembo” di Nicoletta nuzzo, Rupe Mutevole, 2012)

Le poesie di Nicoletta mi piacciono molto, cioè mi emozionano.  Evocano in me dei panorami interiori  dove la leggerezza delle immagini si sposa con la profondità di orizzonti di significato dove riconosco sempre la passione per l’umano e il suo travaglio. Il cielo , che scrutiamo con occhi inquieti e speranzosi sta là, muto e immoto. Assolutamente indifferente alla nostra presenza e agli enigmi che, come  fedeli accompagnatori, la agitano. Allora Nicoletta torna all’umano, torna alle piccole cose, e si limita a chiedere una pioggia leggera che la faccia riposare, una carezza umida e lieve che la riporti in un luogo sicuro, dove sentirsi protetti. Ma non è un ripiegamento su sé stessi; è  piuttosto uno squarcio di consapevolezza, un riconoscere la grandezza salvifica degli odori, dei colori e dei sapori che i nostri sensi percepiscono.

E’ giusto, o forse più che giusto umano, che si abbandoni per un giorno, un’ora, almeno per un attimo questa tensione che ci spinge, invano,  a interrogare il cielo. Ecco, allora, accontentiamoci della pioggia che  scorre sul nostro viso e sulle nostre mani e riconosciamola come qualcosa che ci è proprio, diamole un nome che ci risuoni dentro, e che dentro si espanda con dolcezza.

L’umano di Nicoletta mi appassiona perchè ha interrogato le stelle, non ha avuto risposte e allora si è rivolto nuovamente alla terra. Certo il viaggio tra cielo e terra è stato, è e sarà sempre duro, spesso ci sentiamo persi, ma alla fine ci aspetta l’odore selvatico dell’aria e una pioggia leggera. Si può tornare a casa ora, i cuori memori del bagliore muto e splendido delle stelle.

Essere e sapere

Roboante questo titolo. In realtà molto umilmente vorrei solo estrinsecare delle riflessioni o sensazionim non so bene delimitarne i confinim scaturite dall’ascolto del teologo Mancuso la settimana scorsa. m a Foligno in occasione del festival di filosofia e scienza tenutosi a Foligno. sono andata con Anna e lì abbiano incontrato Marco e Mariangela. Piacevole sorpresa!.

La conferenza di mancuso verteva sul rapporto complesso e tortioso tra religione e scienza. ha peròesordito ponendo una qquestione : “E’ più importante sapere o essere?”Ovviamente non è che le due cose necessariamente si escludano a vicenda ma spesso è così, direi soprattutto nella nostra società, dove non è detto che una persona di grandi conoscenze sia anche una persona di grande animo. Non uso la parole valore perché mi sa  di culturale, I valori non sono immutabili cambiano con il cambiare dei costumi, dei modi di vedere il mondo, delle Weltanschaungen. Invece un’anima aperta non può che essere necessariamente in risonanza con il mondo. Credo che se non si produce un “cambio” di anima tutta la nostra conoscenza non potrà produrre un reale miglioramento. Abbiamo avuto scienziati che hanno contribuito a prodirre armi letali, teologi che hanno teorizzato inquisizioni, filosofi che sono stati accusati di avere fiancheggiato il nazismo ect.

Essere e sapere potranno mai camminare a braccetto , amici indissolubili? Altrimenti di speranze ne abbiamo pochine…

Buona Pasqua a tutti voi!

 

 

La scuola e …il tempo residuo

Mi spiaceva non riuscire a scrivere delle riflessioni, dei pensieri che non sono riuscita a scrivere la volta scorsa. Voglio onorare il mio impegno nel tempo residuo estremamente esiguo che mi rimane alla fine della giornata. Non è solo un impegno nei confronti degli eventuali lettori ma lo è anche nei confronti di me stessa. Un atto di volontà per me non da poco. Pensavo di scrivere un articolo un pò “dotto” ma non ne ho né il tempo ma soprattutto la voglia. In realtà quello che mi piace condividere con voi sono alcune riflessioni sul “senso”. Una parolona che cerco però di semplificare.

Il senso di cui parlo è il senso del mio nuovo lavoro, che non è più quello di insegnante ma quello di dirigente scolastico. Fatico molto a trovarlo questo senso spesso smarrita tra bandi di gara, circolari sui pidocchi, conntratti di assunzioni e chi più ne ha più ne metta. Mi chiedo spesso: che cosa ha a che fare tutto questo con l’educazione? Direi nulla, anzi lo affermo con certezza. Questo senso di smarrimento prima non lo provavo. Basta che entravo in classe e i bambini mi trasportavano in un altro mondo: il loro. Ed io interagivo con i loro visi, con i loro occhi e scoprivo gesti, sorrisi e una spontaneità in me che mi emozionava. Devo molto ai bambini. E’ un dono stare con loro. E’ una vera e propria seduta di psicoterapia gratuita.

Tuttavia ci sono anche ora dei bel momenti. Tipo quelli di  oggi pomeriggio. Una conferenza organizzata dalla mia e altre scuole in rete nella quale non si è parlato altro che di insegnamento incentrato sui ragazzi. Sembra una cosa ovvia che ogni rapporto di insegnamento/apprendimento debba porre al centro il ragazzo e le sue peculiari modalità di apprendere. Ma sappiamo tutti bene noi addetti ai lavori che questo non accade spesso, anzi quasi mai. Ecco, il”senso” del mio lavoro non può che essere quello di contribuire a far sì che dei bambini possano venire sereni a scuola e trovare nelle classi un clima bello, che li faccia stare bene. Questo prima di ogni apprendimento. Oltre le burocrazie, magari attraverso di esse, forse un giorno potrò riuscire a incidere sulla vita di un bambino!

Ecco, questo molto semplicemente darebbe  un “senso” a quello che faccio. In fondo cari amici vi ho utilizzato per biechi scopi personali, quelli di chiarificarmi e fissare per iscritto i miei buoni propositi. Questa sono ora! Chiedo venia.